domenica 4 luglio 2010

L'ora dei "Tea party", dalla Introduzione di Marco Respinti

Introduzione

I have not yet begun to fight!
John Paul Jones (1747-1792)



Il popolo degli Stati Uniti d’America è giunto a saturazione. Il “cambiamento” promesso dal presidente federale Barack Hussein Obama è stato una delusione colossale e ad accorgersene per primi, e già a pochi mesi dalla sua elezione alla Casa Bianca, sono stati proprio i suoi sostenitori. Per gli altri, i suoi avversari, si è trattato della triste conferma di un disastro già ampiamente annunciato.
La reazione alle politiche perseguite dall’Amministrazione Obama ha preso forma presto, spontaneamente, e il 19 febbraio 2009 ha colto l’occasione per esplodere in tutta la proprio magnitudo. Ha assunto l’aspetto di una rivolta popolare e piuttosto trasversale di natura fiscale, e si è battezzata “Tea Party”: un richiamo alla storia e alle tradizioni politiche del Paese, un appello allo “spirito del 1776” e al conservatorismo costituzionale, una formula felice e accattivante. I “Tea Party” crescono, di continuo, in tutto il Paese. Sono cenacoli informali, riunione di poche decine di persone oppure raduni con migliaia di partecipanti, alcuni famosi, la maggior parte cittadini comuni. Gridano alla politica che la misura della sopportazione è oramai colma, che nessuno ha più voglia, semmai l’avesse avuta prima, di pagare i costi e i danni prodotti da altri, soprattutto da uno Stato sempre più invadente e rapace. La crisi finanziaria mondiale, iniziata negli Stati Uniti con il crollo del sistema surreale dei mutui “allegri”, ha innescato la miccia e oggi continua ad alimentare la protesta, fornendo il quadro di riferimento al movimento. Ma i “Tea party” sono molto più della pur dura e doverosa contestazione dell’Amministrazione in carica e delle sue politiche liberal. Sono il modo in cui sta prendendo vita, nuova vita, il movimento conservatore grassroots, cioè popolare ma non populista, dopo la sconfitta subita dal Partito Repubblicano alle elezioni del 2008, la formazione politica in cui diversi suoi esponenti avevano creduto, almeno in parte, di potersi riconoscere.
Chi aveva dato i Repubblicani per spacciati in quel frangente ha così dovuto rimangiarsi rapidamente certi giudizi troppo affrettati e spesso affettati, anzi persino basati sulla totale ignoranza della natura stessa del conservatorismo di popolo attivo da decenni, seppur con alterne fortune politiche, negli Stati Uniti, un Paese dove popolo e conservatorismo sono spesso una endiadi. Il popolo dei “Tea Party” è insomma la punta di un esercito popolare agguerrito e indomito. Questo esercito formula la propria sfida utilizzando il tema oggi più cogente e importante, quello appunto dell’ingiusta e smodata pressione fiscale che mina l’indipendenza e la dignità di persone, famiglie e intraprese. Ma la sua battaglia è antica, profonda. Il popolo dei “Tea Party”, il popolo degli Stati Uniti — cioè molti conservatori e qualche liberal di buon senso minimale o comunque certi Democratici poco ideologizzati, oppure meno della media —, sa bene che una comunità umana spogliata dei mezzi principali per assicurarsi mantenimento e difesa è facile preda della tirannia politica per quanto “democratica” essa appaia. Il suo linguaggio è antico almeno quanto la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776; il suo spirito è tradizionale almeno quanto l’autogoverno di fatto di cui godevano le colonie britanniche in America Settentrionale attraverso quelle libertà concrete e quell’indipendenza sostanziale che l’architettura dell’impero garantiva in nome di una virtuosa tradizione giuridica di derivazione medioevale ancorata alla Magna Carta Libertatum del 1215. Per questo quando Londra cominciò a voltare le spalle a quella storia i coloni decisero di far da sé onde continuare ad assicurarsi quegli stessi benefici.
La forma mentis dei “Tea Party”, insomma, è la stessa della nazione statunitense, un “Mondo Nuovo antico” che affonda le proprie radici nella storia stessa dell’Occidente, da Gerusalemme, ad Atene, a Roma e fino a Londra. Dentro, c’è tutta la teoria classica della politica, un concetto di democrazia rappresentativa e di federalismo antichi quanto la Grecia dell’epoca d’oro, una idea di autogoverno basato sul concetto di libertà responsabile e di dignità della persona che è il regalo fatto al mondo dalla tradizione giudeo-cristiana, l’eredità medioevale di “quando lo Stato non c’era” e si stava meglio, e il sacrosanto diritto alla resistenza contro il dispotismo che ne consegue.
Quanto ne siano coscienti gli animatori stessi dei “Tea Party” è ben difficile dirlo, ma del resto importa poco. Quello spirito, quell’anima sono vivi dentro gli americani, figli dell’Europa e grand’europei, da sempre, che lo sappiano o meno. Anche se è vero che un certo vocabolario “pesante” e qualificato, e se ne parla nelle pagine che seguono, comincia ad affiorare negli Stati Uniti proprio per merito dei “Tea Party”…
Ebbene, i “Tea Party” rappresentano oggi la sanior pars del mondo americano, della sua tradizione conservatrice. Il loro altro nome è “fusionismo” — anche di questo si parla più oltre —, la loro realtà l’essere laici sul serio e però religiosi, pro-life e pro-market, e l’una cosa poiché l’altra e viceversa, al contempo tradizionalisti e libertarian, pionieri e padri di famiglia assieme.
Le elezioni di medio termine del 2 novembre 2010 saranno, per il movimento, un banco di prova importante (per tacere dell’Amministrazione Obama...). Non la sua tappa finale, certo. I “Tea Party” continueranno, infatti, comunque vada. E tra le loro fila c’è addirittura chi ora si augura di non ottenere subito un successo elettorale (diretto o indiretto) troppo ampio che potrebbe ubriacare oppure destare il revanchismo degli avversari.
Ma in quel frangente alcuni nodi verranno certamente al pettine. Il movimento si conterà, si misurerà, comprenderà finalmente quanto il Partito Repubblicano, che non è il suo padrino né la sua unica arma politica, avrà voglia di schierarsi sul serio con la gente, con le famiglie, con le intraprese.
Ecco perché ha forse senso ripercorrere alcuni tratti salienti di quanto è avvenuto negli scorsi mesi negli Stati Uniti attorno ai “Tea Party”.
Questo libro è una raccolta di articoli che si sono quasi tutti susseguiti nei primi sei mesi del 2010: propone quadri, scene, spunti. Non ha alcuna pretesa di completezza né di cronologia sistematica. È un’agenda, un diario. Del resto, la sua compilazione si ferma, volutamente, al mese di luglio 2010, punto fermo equilibrato per riflettere sullo scenario statunitense qualsiasi cosa poi accada dopo (ci sarà peraltro tempo e modo per seguire ancora oltre queste vicende).
Ma forse ce n’è già a sufficienza per comprendere qualcosa in più — qualcosa di meno estemporaneo — circa la sfida elettorale del 2 novembre e forse — cosa che mi pare la più importante rispetto a quel pur importante momento di “sondaggio” dell’umore politico del popolo statunitense che sono le elezioni — per inquadrare alcune delle caratteristiche del movimento conservatore nordamericano stesso, addirittura raccogliendo elementi non transeunti, ancorché legati spesso alla cronaca, in vista, perché no?, di una storia sistematica delle idee di quell’importante movimento di pensiero, comunque da redarsi più ampiamente altrove.
Da noi, dei “Tea Party” la stampa si è accorta tardi, e non sempre ha ben inteso la natura autentica del fenomeno.
Personalmente, ho assai volentieri approfittato dell’ospitalità gentilmente offertami da Giancarlo Loquenzi, direttore del quotidiano web edito a Roma “l’Occidentale. Orientamento quotidiano”, che mi ha permesso di seguire “in diretta” alcune fasi della protesta antiobamiana attraverso la redazione della rubrica settimanale del giovedì Tea Party. Cronache del mondo conservatore. Altre mie incursioni in quel mondo hanno trovato invece spazio su “Libero quotidiano”, e di ciò ringrazio vivamente il direttore, Maurizio Belpietro, e il responsabile della pagine culturali, Francesco Borgonovo, o su “cronache di liberal”: qui il ringraziamento, altrettanto sentito, va al direttore, Ferdinando Adornato, al vicedirettore Andrea Mancia e all’intera redazione (ho davvero un mucchio di amici laggiù).
Ho scelto insomma di riorganizzare alcuni dei materiali da me prodotti sulla stampa italiana al fine di cominciare a offrire qualche ragionamento minimamente coerente su quel fenomeno importante in atto negli Stati Uniti, ma ricco di fan e d’imitatori anche in Europa, persino in Italia. Non è certo, il presente libro, un trattato completo di sociologia o di politologia, e nemmeno di storia. È piuttosto — come detto — una cronaca, parziale, di alcuni suoi elementi che ho, questo sì, l’ardire di definire importanti. Riletta ora, a breve distanza dalle elezioni americane del 2 novembre, questa filiera un poco riorganizzata e ragionata può, credo, risultare di qualche utilità. E dopo il 2 novembre questi materiali potranno almeno cercare di contribuire a salvare dal tritatutto della stampa quotidiana certi aspetti significativi di quella cronaca che, quando è capace di riportare fatti salienti, inizia a trascolorare virtuosamente in storia.
Ho pensato opportuna anche un’appendice che permetta di rievocare le dinamiche dei due ultimi momenti elettorali nazionali forti vissuti dagli Stati Uniti — il 7 novembre 2006 e il 4 novembre 2008 —, ovvero contribuire a valutare come il Paese nordamericano è giunto alla situazione politica — esplosiva – odierna. A leggere certe cronache disordinate, soprattutto nostrane, sembra che i fatti e le idee siano sempre privi di conseguenze, che le persone e i movimenti nascano “sotto il cavolo” nel giro di una notte, e che tutto sia sempre e solo fatto per la memoria corta. Ma non è così. A farsi ammaestrare, almeno un poco, dalla storia, anche quando si affronta la cronaca, ci si guadagna sempre.
Sono ancora convinto, del resto, che quanto scrissi quattro e due anni fa a ridosso delle elezioni, di medio termine prima e presidenziali poi, continui a conservare caratteri di novità talora fin sorprendenti. I due testi dell’appendice, assai diversi nello stile dalle cronache che li precedono qui su carta ma che invece li seguono cronologicamente, abbondantemente annotati, assomigliano per molti versi a schede tecniche. Non hanno mai avuto l’intenzione di essere altro, e forse il loro valore è proprio questo. Ringrazio quindi Giovanni Cantoni, direttore di “Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica”, associazione di cui mi onoro fare parte oramai da più di due decenni, per avermeli a loro tempo commissionati, per avere poi pungolato le mie lentezze, per non aver mai lesinato consigli strada facendo, infine per averli pubblicati.
Tutti i testi raccolti in questa sede sono le versioni originali e complete degli articoli pubblicati sulla stampa periodica. Non ho intenzionalmente fatto alcuno sforzo per armonizzarli, ché il solo ipotizzarlo avrebbe stravolto il piano dell’opera. Mandare in replica una cronaca ha i suoi vantaggi, se se ne accettano le regole. Ho dunque corretto solamente i refusi e gli errori, ho inserito date di nascita e morte di personaggi e figure laddove ciò si fosse nel frattempo reso necessario, ho uniformato il modo delle citazioni, dei rimandi in nota e dei segni d’interpunzione, non mi sono fatto spaventare dalle ripetizioni e solo in casi rarissimi ho aggiunto elementi necessari, a distanza di tempo, per una più corretta comprensione dei testi. Ben altro occorrerebbe fare per redigere un trattato o un saggio storiografico, ma certo non in questa sede, per scelta.
Dunque, dei testi qui radunati, sul quotidiano “cronache di liberal” sono stati pubblicati, tutti nel 2010, anno XV del periodico edito a Roma: La cerimonia (americana) del tè, con il titolo Il popolo americano contro Obama (n. 1, 5 gennaio, pp. 12-13); Obama un anno dopo, con il titolo Right Nation alla riscossa, e Scott Brown, l’incubo dei Democratici (n. 11, 19 gennaio, pp. 14-15); La débâcle dei Kennedy e la “vendetta” di Federer, rifuso e suddiviso in due testi pubblicati con i titoli La débacle dei Kennedy e La vendetta di Federer (n. 13, 21 gennaio 2010, rispettivamente p. 2 e p. 3); Petrol-tasse, con il titolo, Ma ora i “Tea Party” hanno un’arma in più (n. 91, 13 maggio); e Bipartitismo a rischio, con il titolo No Obama? Tea Party (n. 116, 17 giugno, pp. 18-19).
E adesso controrivoluzione è uscito su “Libero quotidiano” (anno XLV, n. 56, Milano, 7 marzo 2010, p. 26), con il titolo Europa, preparati agli anti-tasse. Nacque come una corrispondenza da Bruxelles, in occasione di un incontro internazionale fra europei e nordamericani a cui fui invitato, e come tale l’ho lasciata anche in questa sede. L’argomento “Tea Party” divenne subito, nonostante non fosse di per sé il tema specifico di quel simposio dedicato alle “libertà”, il piatto forte.
Anche Una tempesta perfetta per abbattere Obama, intervista a Leslie Eastman, cofondatrice della Southern California Tax Revolt Coalition di San Diego, in California, è comparso, con il medesimo titolo, su quel quotidiano milanese (anno XLV, n. 145, Milano, 19 giugno 2010, p. 35).
Mitch Daniels: mercato e diritto alla vita è stato pubblicato il 4 marzo 2010, con il titolo È un repubblicano di origini siriane l’ultima stella del GOP, su “l’Occidentale. Orientamento quotidiano”, nella rubrica settimanale Tea Party. Cronache del mondo conservatore. Anche gli altri articoli qui raccolti e tratti da quella testata online sono stati pubblicati nell’ambito di detta rubrica nel 2010: Falsi problemi, con il titolo In America i “Tea-Party” fanno concorrenza alla Destra evangelica (18 marzo); Persino il Massachusetts, con il titolo La rimonta elettorale dei Repubblicani passa di nuovo dal Massachusetts (8 aprile); Pensando alla Corte Suprema, con il titolo A Obama non conviene avere un nuovo giudice liberal alla Corte Suprema (15 aprile); Ma quali estremisti…, con il titolo Il “Secondo emendamento” è un altro modo di ribellarsi a Obama (22 aprile); I dieci grattacapi dei Democratici, con il titolo La “sporca dozzina” che ha tolto il sonno al Presidente Obama (29 aprile); Il cuore “fusionista”, con il titolo “Fusionismo” è la parola magica per capire cosa sono i Tea Party (6 maggio); Pensata alla Corte Suprema, con il titolo Obama ha scelto Elena Kagan perché è la “faina” dei Democrats (13 maggio); Rand Paul, la sveglia, con il titolo Il “Tea Party” ha suonato la sveglia. I Repubblicani si sveglieranno? (20 maggio); Newt Gingrich, proprio lui, con il titolo Newt Gingrich è tornato per dire che in America non c’è politica senza fede (27 maggio); Attenzione a Sarah Palin, con il titolo Anche se non l’amate rassegnatevi. Sarah Palin riserva altre sorprese (3 giugno); Nikki Haley, che non fa l’indiana, con il titolo Quella di Nikki Haley è stata una vittoria del popolo repubblicano (11 giugno); e Nikki, come volevasi dimostrare, con il titolo In America si è risvegliata la “Right Nation” (24 giugno).
Gli articoli dell’Appendice sono stati pubblicati in “Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica”, edito a Piacenza: 7 novembre 2006: «Gli Stati Uniti d’America sono ancora un paese conservatore» (anno XXXIV, n. 337-338, settembre-dicembre 2006, pp. 3-14) e Stati Uniti d’America, 4 novembre 2008: l’elezione del 44° presidente federale (anno XXXVI, n. 349-350, settembre-dicembre 2008, pp. 41-48).
Questo volume inaugura la collana US Polis, promossa dal Columbia Institute (www.columbiainstitute.it), che presiedo a Milano; alcuni dei volumi che essa accoglierà saranno altresì promossi anche in collaborazione con il Centro Studi Russell Kirk, che dirigo nella medesima città lombarda.
Un sincero ringraziamento va dunque all’editore, Marco Solfanelli, per avere entusiasticamente accolto l’idea della collana editoriale, per i consigli intelligenti e per la disponibilità squisita a intraprendere, assieme, questa avventura culturale.
Se si tiene conto anche delle brumose origini remote, sono più di due decenni che mi cimento con il multiforme mondo conservatore nordamericano. Facciamo cifra tonda. Questo volume (direttamente: indirettamente l’intera collana) è dedicato a tutti gli americani che, in vent’anni di quest’attività culturale e di codesta osservazione per partecipazione, mi sono divenuti sempre amici, talora preziosi maestri.


Milano, 4 luglio 2010