giovedì 14 ottobre 2010

CONTRO LE TASSE. Anche in Italia è l’ora del Tea Party ("Libero", Giovedì 14 ottobre 2010, p. 37)

CONTRO LE TASSE

Anche in Italia è l’ora del Tea Party

Un libro di Marco Respinti ricostruisce la storia del movimento Usa

E spiega che pure da noi può avere successo la battaglia anti-Fisco

di Andrea Morigi

«Noi ci teniamo armi, soldi e libertà. Obama tieniti il tuo cambiamento», recitano alcuni significativi cartelli inalberati durante i Tea Party statunitensi. Polemizzano contro lo strapotere federale - il Big Government - che ha assunto il volto dell'attuale presidente statunitense e il corpo della burocrazia di Washington DC.

Eppure, di questi comitati spontanei di rivolta liberal-conservatrice si dice che facciano addirittura il gioco di Obama, indebolendo le strutture e la credibilità del partito repubblicano. È la chiave di lettura preferita da una buona parte dei commentatori italiani di cose americane, che pigramente citano a sostegno delle proprie tesi alcuni sondaggi favorevoli ai democratici, dati ultimamente in ripresa. Il 2 novembre prossimo, data delle elezioni di metà mandato per il rinnovo del Congresso e di un terzo del Senato nordamericani, si vedrà chi aveva ragione.

Lo spirito dell'Indipendenza

Di fatto, il Gop era stato sconfitto alle presidenziali del 2008. Cioè prima dell'insorgenza. Attribuire responsabilità retroattive non è né politicamente onesto né scientificamente rispettoso della realtà. Anzi, la storia a stelle e strisce sta a dimostrare semmai che, al distacco della classe dirigente repubblicana dallo "spirito del 1776", cioè dalla Dichiarazione d'Indipendenza americana, corrisponde un'eguale e contraria perdita di consensi.

Nell'attesa che i risultati delle urne confermino la regola, e sempre a patto che si intenda uscire dal coretto (politicamente) corretto, composto da gente intimorita perfino da Sarah Palin e Glenn Beck, bisogna invece andarsi a leggere il volume di Marco Respinti, L'ora dei Tea party. Diario di una rivolta americana (Solfanelli editore, pp. 160, 12 euro). L'autore è fra gli studiosi che dispongono degli strumenti adeguati per bocca sul voto americano. Si ripubblicano qui alcune sue memorabili quanto complesse ed esaustive analisi dei flussi elettorali, già comparse su “Cristianità”, la rivista di Alleanza Cattolica. Ma alla precisione accademica si accompagna la capacità di cimentarsi con la cronaca, salvando però del materiale che forse si rivelerà utile all'inquadramento del fenomeno dal dimenticatoio in cui per forza di cose finiscono gli articoli dei quotidiani.

In realtà «i "Tea Party" rappresentano oggi la sanior pars del mondo americano, della sua tradizione conservatrice. Il loro altro nome è "fusionismo"», scrive Respinti, «la loro realtà l'essere laici sul serio e però religiosi, pro-life e pro-market, e l'una cosa poiché l'altra e viceversa, al contempo tradizionalisti e libertarian, pionieri e padri di famiglia assieme».

Ma la scommessa del movimento, nato il 19 febbraio 2009 ispirandosi alla rivolta del tè contro l'Inghilterra "statalista" del XVIII secolo, non è che all'inizio sebbene i risultati siano innegabili.

Da noi, il fenomeno è ancora più acerbo. C'è un Tea Party Italia che deve difendersi dall'accusa più scontata, il «tu vuò fa' l'americano», con la reazione più efficace, cioè richiamando l'attenzione sulla questione fondamentale, cioè le tasse. Non è necessario importare né scimmiottare nulla da Oltreoceano. La pressione tributaria è già sufficientemente alta in Italia per potersi concentrare per il momento al solo obiettivo della riduzione fiscale. Ne trarrebbero giovamento le imprese, ma anzitutto le persone e le famiglie, perché nel contempo si ridurrebbero le dimensioni del Moloch statale onnipervasivo e spendaccione.

Il Moloch statalista

Di qua e di là dall'Atlantico, in fondo, tutto l'Occidente si trova a fronteggiare, sebbene con velocità e intensità diverse, la stessa minaccia da parte di un dispotismo democratico che si serve delle imposte per alimentare una spesa pubblica mostruosa.

Ed è quello lo strumento con cui anche le libertà fondamentali della persona vengono sacrificate sull'altare del dispotismo democratico dirigistico. Anche limitarsi al solo pareggio di bilancio, tutto sommato, rappresenterebbe una vittoria storica per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Tanto che quella battaglia potrebbe essere condivisa anche da ambienti non strettamente liberisti.

Perciò trattare i Tea Party come un fenomeno esclusivamente libertario sarebbe limitativo. Per alcuni analisti, il peccato originale consisterebbe proprio nella monotematicità. Salvo poi, quando i repubblicani grassroots arrivano a riscoprire il diritto naturale e i princìpi non negoziabili della dottrina sociale della Chiesa, denunciarne la deriva reazionaria. Semplicemente, chi teme i Tea Party rifiuta Dio, la patria, la famiglia e la proprietà privata. In America come in Italia.

di Andrea Morigi

“Libero”, Giovedì 14 ottobre 2010, p. 37

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