venerdì 15 ottobre 2010

Nella battaglia per il fisco i Tea Party rispolverano Fred Thompson

Estendere a tutti i cittadini statunitensi l’alleggerimento della pressione fiscale voluto dal presidente George W. Bush jr. come vogliono ora i Repubblicani, oppure continuare a ringhiare “girotondinamente” contro “i ricchi” come vogliono i Democratici, spalleggiati dal presidente Barack Hussein Obama? E' il dubbio amletico (e tale perché legato a doppio filo alla sopravvivenza dei due partiti maggiori della scena politica statunitense) che attanaglia il partito degli elefanti (i Repubblicani) e il partito degli asini (i Democratici). Una questione decisiva, scottante, pressante, ma la risposta viene (a loro) facile: se ne parlerà dopo le elezioni del 2 novembre, almeno così dicono gli analisti, gli osservatori, persino gli addetti alle cose politiche.

Ovvio, farlo prima, fare qualsiasi cosa prima in questo ambito, significherebbe pestare comunque i piedi a qualcuno, a destra o a sinistra, a questi o a quelli, ai “ricchi” oppure ai “poveri”, motivo per cui è meglio esorcizzare la situazione rimandando tutto. Dopo, infatti, qualsiasi cosa accada, sarà appunto dopo. Tipo passata la festa, gabbato lo santo, se alla politica americana riesce – con manovra bipartisan – il colpo gobbo di distrarre per un poco l’attenzione degli elettori.

Rimandare la ferale decisione conviene infatti adesso, ancorché per motivi opposti, a entrambi i partiti in lizza. Ai Democratici ovviamente conviene giacché vorrebbero fare tutto tranne gettare nuova benzina sul fuoco della protesta fiscale, una fiamma ardente ben custodita dalle vestali guardinghe e sollecite dei “Tea Party”; e ai Repubblicani pure, poiché le lezioni sono sempre le elezioni, e non c’è mai sondaggio, nemmeno il più favorevole, che possa garantire preventivamente la certezza della vittoria: vuoi mai che qualcuno si lasci vincere dalla demagogia populista della Sinistra e creda alla fanfaluca dei “ricchi” cambiando repentinamente all’ultimo momento decisione elettorale? No, quindi meglio aspettare.

Eppure il taglio delle tasse di Bush è uno dei nodi centrali dell’immediato futuro americano. Da lì passa una parte non residuale del rilancio economico del Paese, da lì passa la capacità della politica statunitense d’inventarsi un futuro possibile per una società senza dubbio in crisi. Se infatti la riduzione fiscale a suo tempo voluta dalla Casa Bianca dovesse venire malauguratamente lasciata decadere a fine anno senza essere reiterata e rinnovata, a rimetterci maggiormente sarebbe il ceto medio americano. Mica “i borghesi”, meno ancora “i ricchi” (entrambi astrazioni marxiste), ma la gente comune, le imprese (non so se solo quelle piccole e medie, certamente però quelle che fan girare produzione, economia e denaro), il lavoro (vero), le famiglie (sempre). Insomma, i cittadini e la società a misura loro.

Per questo il ceto medio, che in parte enorme ingrossa le fila dei “Tea Party”, ne ha fatto un punto nodale della propria resistenza allo statalismo, trovando pure un testimonial importante (e dandoci l’occasione per riportare l’attenzione su un bel personaggio della politica made in USA), Fred Thompson. Di Freddie Dalton Thompson, classe 1942 (così all’anagrafe), i più ricorderanno il bel volto americano visto alla tivù come interprete di serial popolari quali Matlock e Law and Order (dove veste i panni di un procuratore distrettuale conservatore), senza scordare un’apparizione fugace (dove fa un uomo politico che compare alla tivù) in Sex and the City e le interpretazioni cinematografiche in Senza via di scampo, Cape Fear. Il promontorio della paura, Nel centro del mirino e Caccia a Ottobre Rosso. Meno ne ricorderanno la partecipazione alle primarie Repubblicane del 2008 per la Casa Bianca.

Thompson (senatore per lo Stato del Tennessee dal 1994 al 2003, visiting fellow all’American Enterprise Institute for Public Policy Research di Washignton, esperto di questioni di sicurezza nazionale e intelligence) uscì di scena prestissimo, come avviene spesso in casi analoghi ai suoi, ma quella sua sortita, che pure lui sapeva benissimo essere di bandiera, cioè poco più che di testimonianza (bene inteso: con tutto il peso virtuoso che la testimonianza diretta in cose decisive ha sempre), ha contribuito non poco a farne conoscere l’impegno in politica, lo spirito conservatore, insomma il cuore che batte dalla parte giusta (che in inglese si dice right…). Oggi Thompson è fra i più accesi sostenitori della necessità di estendere il taglio fiscale di Bush a tutti i cittadini americani e ben oltre la scadenza di quella virtuosa (una volta tanto) provvisione governativa fissata al 31 dicembre prossimo. Dice infatti senza mezzi termini che se la riduzione fiscale non verrà estesa nel tempo e nel numero dei beneficiari sarà nientemeno che una catastrofe per l’intera economia nazionale.

La massiccia campagna di sensibilizzazione che lo vede protagonista ora è organizzata dalla “League of American Voters”, una delle sigle ad hoc che negli USA nascono per scopi single-issue; sugli schermi tivù il suo viso noto e popolare ripete incessantemente che meno tasse per tutti fa bene a ognuno; e Ben Shalom Bernanke, il presidente del Comitato dei governatori della Federal Reserve, è venuto inaspettatamente in aiuto a lui e ai suoi dicendo di fronte al Congresso che ora come ora l’economia statunitense è troppo fragile per poter sopportare un aumento delle imposte. Ora come ora, cioè, la lotta contro la pressione fiscale esagerata è, negli Stati Uniti (solo negli Stati Uniti?), lo strumento principale per contrastare l’esasperazione statalistica, la quale, ora come ora (sempre?) è il primo nemico di quella libertà responsabile degli individui che fa del loro insieme un popolo e non una massa amorfa, anestetizzata e asservita.

Per questo i “Tea Party”, che sono un popolo sveglio e non una massa indolente, chiedono la riduzione fiscale qui e subito; per questo un Fred Thompson, che la gente conosce bene e il cui successo dal popolo dipende non certo dalla massa, si spende in prima persona affinché la continuazione della linea Bush in materia fiscale, la discussione della quale la politica vorrebbe far slittare nel dimenticatoio del dopo elezioni, sia presente nel cuore e nelle menti di ogni elettore americano nel fatidico giorno delle urne. Di modo che chi il 2 novembre si candida a ottenere il favore del popolo che non è andato a massa sia costantemente preda di timore e tremore.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institutee direttore del Centro Studi Russell Kirk.

http://www.loccidentale.it/articolo/i+tea+party+sono+rimasti+gli+unici+a+non+voler+dimenticare+il+taglio+fiscale.0097209

Nessun commento:

Posta un commento