giovedì 7 ottobre 2010

Per il Tea Party sta scoccando "l'ora X". Quella della battaglia fiscale

Adesso la questione dei tagli alle tasse operati a suo tempo dal presidente George W. Bush jr. è davvero matura. La riduzione fiscale varata nel 2001 e ancora nel 2003 dalla Casa Bianca per far fronte alla recessione dell’universo “dot.com” e alla crisi anche economica seguita all’Undici Settembre scadrà il 31 dicembre prossimo e il dibattito sul dopo infiamma. Certo, pare strano: a rigor di logica, infatti, disaccordo e quindi dibattito proprio non dovrebbe esserci su una questione tanto sentita dalla gente che fra pochi giorni andrà alle urne e nel pieno della protesta fiscale dei “Tea Party”, soprattutto tenendo presente che quei tagli fiscali hanno fatto del bene sia ai cittadini sia all’economia nazionale, insomma che nessuno ha da lagnarsene. Chi sarebbe tanto folle da auspicare a gran voce l’aumento delle tasse? E difatti negli Stati Uniti nessuno propone oggi apertis verbis il rincaro del pizzo preteso dallo Stato. Ciò che divide gli schieramenti è come estendere la riduzione delle imposte varata all’inizio del decennio scorso.

I Repubblicani vorrebbero che la riduzione fiscale interessasse tutti i cittadini statunitensi, i Democratici in linea con il presidente Barack Hussein Obama vorrebbero che il taglio riguardasse solamente le famiglie con un reddito complessivo inferiore ai 250mila dollari annui, e questo seguendo una demagogia non poi tanto lontana da certi discorsi fatti a casa nostra dalla Sinistra più estrema allorché essa vagheggia di “tasse patrimoniali” e dintorni. Insomma, la Sinistra vuole che chi ha di più (gente che ha di più mica per colpe inconfessabili) non “paghi di più”, ma paghi sproporzionatamente, mentre la Destra vuole che tutti paghino meno. Nel mezzo succede che ridurre le tasse a tutti beneficia tutti, ovvero il sistema Paese nel suo insieme, mentre ridurre le tasse solo ad alcuni azzoppa il circolo virtuoso innescato dalla manovra per mero amor di populismo propagandistico. La riduzione flat delle imposte, infatti – signori, il mondo è piatto –, fa bene a un Paese tanto quanto ne fa la tassazione flat. E qui tornano a bomba un discorso antico e un determinato personale politico oggi in rotta negli USA.

Il discorso antico è quello che dice che se uno persegue bene i propri interessi fa al contempo l’interesse di tutti; i politici in caduta libera sono i Repubblicani non conservatori e i RINO, quelli cioè superati a destra dal popolo dei “Tea Party” e dai candidati conservatori che esso ha messo in piazza. Mi spiego. I “Tea Party” sono un fenomeno conservatore che non solo non coincide con il Partito Repubblicano, ma che questa formazione tiene oggi, entro certi limiti, “in ostaggio”. Talora preferisce perdere il confronto elettorale con i Democratici piuttosto che eleggere dei Repubblicani non conservatori, tanto – dice – è lo stesso. La battaglia dei “Tea Party” nasce – o così è stata più o meno correttamente percepita soprattutto da noi – come rivolta della piazza contro l’eccessiva tassazione di Stato, ma è ben più di quello: l’argomento fiscale è lo strumento mediante il quale promuove una ben precisa visione del mondo, fatta di antistatalismo, difesa dei diritti costituzionali, preservazione dell’identità americana e “princìpi non negoziabili”. Per questo i RINO ai “Tea Party” né garbano né servono.

Epperò, al tempo: alcuni RINO – non tutti, alcuni – sono liberal sul piano etico e culturale, ma (almeno un poco) più conservatori su quello fiscale. Ora: 1) se lo strumento – non l’unico scopo – dei “Tea Party” è la protesta fiscale, la quale, se ottiene la riduzione delle tasse, fa del bene di per sé e poi – pensano appunto i “Tea Party” – aiuta a organizzare la difesa culturale dell’idea “Dio, patria e famiglia” dal relativismo della politica odierna, e 2) se far bene i propri interessi fa bene a tutti, allora 3) i RINO fiscalmente più conservatori potrebbero strumentalmente tornare utili proprio ai “Tea Party” nel momento stesso in cui questi peraltro pensano a come contenerli esclusivamente entro quel recinto per poi disfarsene alla svelta. Mica semplice: e infatti i “Tea Party” non si fidano affatto dei RINO anche più fiscalmente conservatori. Ma noi che americani non siamo e che dunque abbiamo il vantaggio di un’analisi fatta a distanza e un poco più freddamente, il calcolo lo vediamo bene.

Insomma, è paradossalmente probabile che una parte dei RINO, i nemici giurati dei “Tea Party” e viceversa, possano contribuire a ottenere gli scopi che i “Tea Party” si prefiggono proprio contro di essi. Quei RINO contribuirebbero insomma oggettivamente a ottenere la vittoria nella battaglia scatenata dai “Tea Party” qualora questi alla resa dei conti difettassero di qualche numero elettorale decisivo: una battaglia che i “Tea Party” combattono per ragioni diversissime da quelle dei RINO, ma l’esito sarebbe lo stesso. Ecco qui dove il fare scopertamente gl’interessi propri benefica tutti: alcuni RINO sostengono la rivolta fiscale per motivi propri e diversi da quelli dei “Tea Party”, ma alla fin fine avvantaggerebbero grandemente quel movimento che pure, ricambiati, detestano, mentre i “Tea Party” sfrutterebbero l’azione dei RINO fiscalmente più conservatori per motivi specularmente propri fra i quali c’è pure la cacciata dalla scena politica dei RINO stessi.

Ovvio, i “Tea Party” non sono affatto ora disposti a confondersi ancora una volta con i “traditori” RINO, ma alle elezioni di medio termine certi RINO più fiscalmente conservatori potrebbero lo stesso farcela senza di loro (o con il contributo nascosto di qualche “Tea Party” virtuosamente cinico e spudorato). In questo caso, il bandolo della matassa si sposterebbe al giorno subito seguente le elezioni: che farà a quel punto il movimento “senza guida” dei “Tea Party”?, come gestirà la propria scalata a parte del mondo Repubblicano?, come armonizzerà politica e idealismo?, e soprattutto come amministrerà la propria vittoria?, ché quella comunque vada ci sarà nelle menti e nei cuori di milioni di americani, ma anzitutto nell’aver posto sul piatto della bilancia politica del secolo XXI un grande e incancellabile precedente. L’unica cosa certa ora è che dei famosi tagli fiscali dell’era Bush si parlerà dopo le elezioni. Per questo il braccio di ferro in atto fra “Tea Party” e RINO resta d’importanza fondamentale.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute e direttore del Centro Studi Russell Kirk

http://www.loccidentale.it/articolo/per+il+tea+party+sta+per+scoccare+l%27ora+della+battaglia+fiscale.0096773

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